I FIGLI ADULTIZZATI E RESPONSABILIZZATI

Accudimento invertito

In una società che pone obiettivi sempre più complessi e richiede di essere costantemente attivi e performanti, può accadere che i bambini vengano investiti di responsabilità che non dovrebbero appartenere all’infanzia. Un periodo caratterizzato dalla spensieratezza, dalla leggerezza, dall’assenza dei pesi propri dell’età adulta. Talvolta sono i genitori, anche se in buona fede, a spingere i figli in questa direzione.

L’adultizzazione può nascere da situazioni molto diverse, anche opposte. Può presentarsi quando i genitori sono infantili e il bambino si prende cura della mamma o del papà. O al contrario in presenza di genitori molto rigidi, impostati, normativi, di cui il bambino replica il comportamento per imitazione.

Può sorgere in particolari condizioni, ad esempio nel caso in cui il bambino frequenti più adulti che bambini della sua età. Sono diversi anche i modi in cui l’adultizzazione si esprime. Può provocare sofferenza, può essere imposta, o al contrario può essere anche vissuta molto tranquillamente e serenamente dai bambini.

Ci sono bambini che sembrano manifestare questa attitudine in maniera spontanea, e non è di per sé sbagliata, perché i bambini fanno parte della famiglia ed è giusto che desiderino attivarsi per dare il loro contributo. Quello che un genitore può fare è osservare il bambino e cercare di capire cosa lo fa stare bene, cosa ama e come esprime le proprie caratteristiche in modo unico.

Il bambino adultizzato non ha avuto il tempo e il modo di vivere la sua fanciullezza, perché è stato troppo presto responsabilizzato o ha patito l’assenza emotiva dei genitori. Sono questi i motivi più frequenti per i quali i bambini si trovano nella condizione di saltare completamente una fase tanto importante quale è quelle dell’infanzia.

Ritrovarsi da soli a casa perché i genitori lavorano a un’età in cui invece avrebbero ancora bisogno dell’accudimento di persone di riferimento adulte, porta i piccoli a dover svolgere compiti che non appartengono alla loro età. Andare a scuola da soli a 6 anni, avere già le chiavi di casa, tornare e non trovare nessuno che li attende o doversi preparare qualcosa da mangiare autonomamente, crea un danno le cui conseguenze si ripercuotono inevitabilmente nell’età adulta.

Ciò non vuol dire non responsabilizzare i bambini, ma che non bisogna neanche bruciare alcune tappe importanti per la loro crescita. Ci sono anche quei casi in cui i genitori sono fisicamente presenti, ma emotivamente assenti, nel senso che non esprimono quell’effetto e quelle attenzioni che un bambino si aspetta.

La solitudine affettiva crea nel piccolo un meccanismo di compensazione per cui deve “bastare a se stesso” ed essere auto referente, tanto da crescere sentendosi inadeguato e bramando quelle attenzioni che non avrà mai modo di ricevere. L’adultizzazione del bambino può verificarsi anche a causa di un genitore “ingombrante”, spesso la madre, che dirotta tutte le attenzioni su di sé, facendole mancare al bambino.

I ruoli, insomma, si capovolgono, e il piccolo cresce cercando di soddisfare in ogni modo le richieste e le esigenze del genitore, che si mostrerà comunque freddo e insoddisfatto. Per quanto limitante e pesante, questo ruolo invertito è però anche molto gratificante, e per i figli diventa difficile rinunciarvi. Ritornare al proprio normale ruolo di figlio significa da un lato perdere la possibilità di avere un legame privilegiato e unico con il genitore e perciò anche una qualche forma di potere, dall’altro essere assalito dai sensi di colpa.

A questo, si accompagna la paura di lasciare a sé stesso un genitore percepito come incapace di cavarsela da solo. Inoltre, l’accudimento invertito rappresenta una difesa per il bambino di fronte a una realtà in cui i suoi bisogni non sono visti o non ricevono sufficiente risposta, perciò egli impara a sacrificarsi e rispondere ai bisogni dei suoi genitori per poter essere amato.

Ha quindi paura, lasciando questo ruolo, di perdere l’unica possibilità di essere amato.vBambini e ragazzi iper-responsabilizzati ricevono anche una forte approvazione sociale in quanto appaiono come piccoli adulti diligenti e affidabili, possono essere lodati per il loro spirito di sacrificio e solitamente il loro disagio passa inosservato e non desta particolare preoccupazione, in quanto vengono scambiati per bravi bambini adattati.

Al contrario, crescere in una condizione di accudimento invertito comporta conseguenze negative su molteplici fronti, dal benessere psicologico alla modalità con cui ci si rapporta agli altri, facilitando ad esempio lo sviluppo di disturbi d’ansia e depressivi e favorendo schemi relazionali in cui ci si sacrifica per il bene dell’altro mettendo sempre sé stessi in secondo piano, o ci si lega costantemente a soggetti problematici per ricreare l’antica, familiare situazione di accudimento dell’altro.

Diventa perciò essenziale che, quando i genitori siano incapaci di rendersene conto, ci sia almeno uno sguardo attento di un adulto che possa fare luce sulla realtà di questi bambini e ragazzi, intervenendo per salvaguardarli e per incoraggiare i genitori a chiedere aiuto, se necessario.

Nella vita adulta saranno pienamente efficienti, nel lavoro come nelle piccole riparazioni domestiche, ma si sentiranno persone incomplete, incapaci di provare emozioni profonde e con la perenne sensazione d’inadegutezza. Nelle relazioni amorose avranno grandi difficoltà a stabilire rapporti sani, nei quali permarrà quasi sempre un disequilibrio per cui la persona in questione spesso non accetterà mai di avere torto, temerà i progetti a 2 e si porrà sempre al di sopra del partner, creando una situazione che molto spesso diviene insostenibile, in quanto impedisce alla controparte di sentirsi amata e apprezzata.

Sarà, insomma, difficile un reale coinvolgimento emotivo, perché saranno adulti condizionati dal senso del dovere, che non possono permettersi debolezze, da un mal celato rancore e dalla tristezza per quello che gli è stato negato da piccoli, anche se non ne saranno coscienti. L’adultizzazione infantile può essere superata nella vita adulta prima di tutto con la consapevolezza di aver mancato di vivere la propria infanzia per cause esterne.

La terapia cognitivo-comportamentale può aiutare a migliorare la concezione di sé stessi, il modo di relazionarsi non più anaffettivamente e anche quello di vedere il mondo in modo positivo, cioè come un’opportunità per aprirsi e recuperare fiducia in sé stessi come nel prossimo.

A cura della Dott.ssa Raffone Antonella

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